L'area archeologica di S. Vittoria di Serri - ATLANTIDES: Miscellanea di Ambiente, Natura, Cultura

atlantides.it
Ilex aquifolium
Vai ai contenuti

L'area archeologica di S. Vittoria di Serri

Testi > Approfondimenti Archeo



Prologo

L'area archeologica di Santa Vittoria si raggiunge dall'abitato di Serri (CA), paese adagiato presso il lato sud orientale dell'omonima giara basaltica. Seguendo le indicazioni presenti, si arriva facilmente all'apposita area di sosta. Da qui, proseguendo a piedi, "incuranti" di altri resti di capanne che si vedono prima a sinistra e poi a destra, si arriva al Recinto delle Feste.
Per le immagini dettagliate relative a quasta descrizione, rimando alla pagina di presentazione e allo slideshow
S. Vittoria di Serri.


Paragrafo 1

Il Recinto delle Feste

E' questo un recinto ellittico, approssimativamente di 50x70 metri, realizzato con pietre basaltiche del posto. Segnalo subito che, nel complesso delle costruzioni, non furono usati solo materiali basaltici reperibili in situ, ma anche pietre di natura carbonatica trasportate da altre località. Riguardo a questi materiali talora è usato, per semplicità, il termine "calcare" ma è più probabile che in questo caso si tratti di rocce carbonatiche composte da dolomite, simili al calcare ma assai più dure, resistenti e idonee alla lavorazione.

Tutte le costruzioni sono adiacenti al muro perimetrale, la parte centrale del Recinto è lasciata libera.
Entriamo dall'ingresso di nord-est.  Immediatamente alla nostra sinistra troviamo una piccola capanna di forma irregolare, che potrebbe essere una sorta di Casa del guardiano. Addossata a questa un'altra capanna, detta la Casa del focolare. Successivamente ce ne sono altre due più grandi, di circa 6,5 metri di diametro.
La prima è chiamata il Recinto con il sedile, dal lungo bancone che si svolge internamente per tutta la circonferenza, atto ad offrire un posto a sedere a un folto gruppo di persone.
E' questa una caratteristica tipica delle capanne destinate ad un uso pubblico. Quelle di semplice abitazione abitualmente ne sono prive. Si ritiene che questa capanna e la precedente fossero destinate ad accoglie le persone di maggior rilievo che si recavano alla festa.  Per i normali pellegrini era invece disponibile un porticato posto sull'altro lato.
La capanna successiva, il Recinto dell'ascia bipenne, era destinato al culto. Infatti nel lato sinistro furono rinvenuti un altare e, ai piedi di esso, un'ascia bipenne di bronzo e cumuli di resti di sacrifici e offerte rituali; cenere, ossi di animali e valve di conchiglie.
Successivamente troviamo la zona del mercato con nove piccoli ambienti destinati all'esposizione dei prodotti.
Questo lato termina con la grande Capanna della fonderia, per i resti di lavorazioni metalliche di rame e piombo rinvenuti. Tuttavia, sia per la presenza del sedile interno che anche qui copre tutta la circonferenza sia per i resti di pasto, si può ipotizzare che servisse anche ad accogliere gruppi di persone. Probabilmente poteva anche servire da abitazione agli stessi addetti della fonderia. Esternamente alla fonderia e fuori dal Recinto c'è una corte per animali con annessa capanna dell'addetto.
Dalla parte opposta, a sinistra per chi entra, troviamo un lungo corridoio di circa 12 metri di difficile interpretazione, che in origine doveva essere coperto. Dopo di che si incontra un ambiente di forma quadrangolare destinato a un uso di cucina comune. Successivamente si estendeva un porticato, che copre circa la metà del diametro del Recinto, era destinato ad accogliere i pellegrini.
Nel porticato è stata realizzata la porta meridionale del Recinto. Da qui, presumibilmente, entrava la massa di pellegrini, essendo anche la più prossima all'area sacra dei templi.
Un vasto cortile di circa 50 metri di diametro, rimaneva libero al centro ove si svolgevano le feste vere e proprie.
Sia le capanne sia il porticato avevano una copertura realizzata con sottili lastre di calcare sostenute da travi di legno.
I romani assalirono e dettero alle fiamme il Recinto delle Feste quando era ancora utilizzato, probabilmente durante una sagra religiosa, mentre era gremito di pellegrini. I resti dell'ultimo pasto, buoi, ovini, maiali e valve di molluschi, sono stati trovati abbondantemente sotto il crollo dei tetti insieme a stoviglie nuragiche e di importazione.
Usciti dalla porta meridionale, si può individuare, a destra, la cosiddetta Capanna dell'altarino. Anche questa era destinata ad uso sacro, infatti, oltre ai resti dell'altarino sono stati trovati le ceneri con resti di animali, residui dei sacrifici.

L'area dei templi
Osserviamo ora, di fronte a noi, il muro di cinta dell'area dei templi ed individuiamo l'ingresso, a circa 50 metri dalla porta del Recinto delle feste.
Entrando, troviamo alla nostra sinistra una capanna di abitazione, presumibilmente la Casa del custode.
Mentre alla nostra destra si può facilmente individuare il Tempio a pozzo (detto anche Pozzo sacro, definizione che a noi sembra meno appropriata), l'edificio più significativo di tutto il Santuario di S. Vittoria di Serri.
Questo edificio, come l'analogo Pozzo sacro di S. Cristina di Paulilatino (OR) e la Fonte sacra Su tempiesu di Orune (NU) lasciano stupefatti sia per la lavorazione dei materiali sia per la precisione e complessità dell'architettura. Ci meraviglia che i costruttori dei nuraghi (opere ciclopiche, ma realizzate con materiali appena sbozzati) siano stati in grado di effettuare anche questo tipo lavorazioni così accurate.
Il Tempio a pozzo è costruito da un atrio d'ingresso, dal pozzo vero e proprio (alto 5 metri) e da una scala di tredici gradini che partendo dall'atrio interseca la parete del pozzo. Sia la scala che il pozzo sono realizzati con conci di basalto finemente lavorati. Sul fondo del pozzo è stata scavata una conca nella roccia per contenere l'acqua. E' interessante notare che non ci sono segni della presenza di acqua sorgiva, anche se è ipotizzabile che nel luogo scelto per la costruzione fosse presente una sorgente andata poi dispersa.  Ma era, presumibilmente, acqua piovana quella che riempiva la conca scavata nella roccia. Essa era convogliata nel pozzo tramite canali, di cui si vedono chiaramente la parti terminali, che la immettevano nel pozzo. Esso attualmente è senza copertura, ma originariamente ne doveva avere una a tholos.
L'atrio d'ingresso ha ai lati due banconi di calcare idonei sia per far sedere gli officianti o i fedeli sia per accogliere i doni votivi. (Assolveva praticamente la stessa funzione del bancone dell'esedra nelle Tombe di giganti).
Al centro dell'atrio, in prossimità della scala, è presente un altare con un foro di scarico dei liquidi, che passando in un canale sotto la pavimentazione, li portava fuori dal tempio, in una sorta di vasca posta nel lato sinistro dell'atrio. Su questo altare venivano compiuti sacrifici di animali o riti che richiedevano l'uso dell'acqua o di altro liquido.
L'intero tempio è circondato da un muro megalitico di forma ellittica, che creava un recinto sacro attorno ad esso che con termine greco viene abitualmente chiamato témenos.
A questo punto è utile fare una precisazione sui riti che si svolgevano nei templi a pozzo. Riguardo ad essi, spesso si parla di un generico culto delle acque. Mi sembra più opportuno ritenere che si praticasse, non già il culto delle acque, ma il culto dello Spirito delle acque che ivi risiedeva: Sa mamma 'e vuntana (La Madre del pozzo). Tutt'oggi questa espressione sarda serve ad indicare lo spirito dei pozzi e delle sorgenti, come se ognuno di essi avesse il proprio nume tutelare. La credenza non esiste più, ma il concetto ad essa legato conserva tutto il suo antico significato. Tuttavia, come molte espressioni sarde, anche questa sta ormai cadendo in disuso. Pur essendo Sa mamma 'e vuntana, una locuzione di chiara derivazione latina, essa si riferisce ad un concetto preesistente alla dominazione romana, di esso sono testimonianza i tanti templi a pozzo presenti in Sardegna. Per analogia si può citare Sardus Pater, espressione ugualmente latina, ma che si riferiva ad un concetto della Sardegna pre-romana: un mitologico progenitore di tutti i sardi.
Come ulteriore riferimento al culto dello Spirito delle acque, si può ricordare che presso molti popoli antichi, che avevano una religione con ascendenze naturalistiche, erano venerati gli dei e gli spiriti delle acque sorgive. Gli stessi Romani avevano il culto del dio Fons, la divinità delle sorgenti.
Dirimpetto al Tempio a pozzo abbiamo il cosiddetto Tempio ipetrale (realizzato a cielo aperto, senza copertura).  Fu con questo nome che lo definì il Taramelli quando lo rinvenne nella seconda campagna di scavi degli anni venti del secolo scorso. Questo concetto è ormai superato perché si ritiene che avesse una copertura fatta con lastre di calcare sorretta da travi di legno, analogamente agli edifici del Recinto delle Feste. Tuttavia, il nome è rimasto.
Questo tempio è caratterizzato da due altari di grandi dimensioni che fanno pensare a sacrifici di animali di grosse dimensioni, come buoi o cervi.
In prossimità del tempio abbiamo una capanna che costituisce una sorta di anticamera del tempio stesso, è la Capanna del sacerdote.
A un lato del Tempio ipetrale c'è la Torre con le feritoie: è ciò che rimane di un nuraghe anteriore alla realizzazione del Tempio ipetrale e del Tempio a pozzo.
Anche questi edifici subirono la stessa sorte del Recinto delle Feste, furono assaliti dai romani e dati alle fiamme.
In epoca bizantina, con i materiali prelevati dalle costruzioni menzionate, fu realizzata la chiesetta della Madonna della Vittoria, da cui deriva il nome attuale del santuario nuragico.
E' stato ipotizzato che questa chiesetta prenda il nome da un tempio romano dedicato alla dea Vittoria. Esso fu realizzato per ringraziare la dea, quando, dopo la distruzione del santuario nuragico qui si insediò una guarnigione romana. Se così fosse, per ironia della sorte, il grande santuario nuragico è conosciuto con il nome che commemora la sua distruzione.

Il villaggio con capanne abitative e di uso pubblico
Usciti dalla dall'area dei templi ci dirigiamo alla nostra sinistra e, seguendo una muraglia megalitica che protegge il lato occidentale della giara, possiamo individuare, in una posizione isolata e leggermente rialzata, la Capanna del capo.
Questo edificio è composto da una capanna nel cui muro perimetrale sono state ricavate quattro nicchie, la seconda a sinistra è piuttosto vasta, quasi una piccola stanzetta. Si accede alla capanna attraversando un atrio con i banconi laterali per accogliere le persone. Per le caratteriste costruttive e per la posizione dominante, il Taramelli ha ritenuto che fosse la dimora del responsabile del santuario, da cui il nome con cui è ancora conosciuta.
A questo punto dobbiamo tornare sui nostri passi verso il lato meridionale della giara. A circa 80 metri dal muro di recinzione dell'area sacra dei templi, possiamo visitare, in prossimità del margine meridionale della giara, due capanne di abitazione distanziate tra loro circa 60 metri.
Ci conviene ora riportarci sulla strada da cui siamo giunti al Recinto delle Feste e ritorniamo verso il parcheggio. Percorso un centinaio di metri, alla nostra destra troviamo una deviazione che dopo circa 150 metri ci porta a un gruppo di capanne di abitazione.
Fra queste è facilmente individuabile, per la presenza di tre pilastri basaltici, quello che il Taramelli ipotizzò come il Recinto dei supplizi. Si tratta di una costruzione semicircolare a cui sono ostati aggiunti sulla destra altri due ambienti irregolarmente quadrangolari.
Quella che colpisce maggiormente è la parte semicircolare. Essa è costituita da una sorta di atrio che conduce verso un locale di pianta circolare, dal diametro di circa 1,5 metri, che è inglobato nel muro perimetrale. Tuttavia, visto il considerevole spessore murario, esso viene a trovarsi in una posizione piuttosto centrale dell'edificio. Inoltre questa piccola cella ha come stipiti i due pilastri basaltici menzionati in precedenza, mentre il terzo è inglobato nella muratura a fianco dello stipite destro. Il Taramelli supponeva che i prigionieri rinchiusi nella cella fossero portati fuori e giustiziati nell'atrio alla presenza degli anziani del villaggio o dei testimoni. A questo punto è il caso di segnalare che nel villaggio nuragico di Barumini (CA) è chiaramente visibile una cella simile a questa, con un grande bacile, probabilmente destinato all'impasto del pane o a riti religiosi privati. Quindi da un'ipotesi piuttosto sanguigna si passerebbe ad un'altra ricca di serenità familiare. Ovviamente, in mancanza di precisi riscontri archeologici, tutte le ipotesi sono valide.
Distanziata da questi edifici troviamo una capanna piuttosto grande, 11 metri di diametro interno e 14 esterno. Si tratta della grande Capanna delle riunioni o Curia. Destinata ad accogliere gli anziani o i capi villaggio di tutta la zona, in una sorta di assemblea federale. Essa è caratterizzata da un bancone che copre tutto il perimetro interno destinato ai partecipanti. Sopra di essi, per tutto il perimetro del bancone è presente una sorta di baldacchino litico realizzato con pietre piatte conficcate nella muratura perimetrale.
Nella parte mediana del lato sinistro si trova una vaschetta di calcare e di fronte ad esso un betilo irregolarmente tronco-conico con la base convessa. Esso è appoggiato su un blocco quadrangolare con una sede concava. Per cui può ruotare liberamente senza cadere.
Dalla Capanna delle riunioni, seguendo un sentiero, possiamo dirigerci verso nord a visitare un gruppo di costruzioni distante una sessantina di metri.
Si tratta di un gruppo di sei capanne aperte verso un cortile interno dotato di due ingressi. Altre due capanne, pur facendo parte dello stesso blocco murario, hanno l'ingresso verso l'esterno. In quella più grande fra quelle aperte verso il cortile, che è denominata Recinto della stele, fu rinvenuto il cosiddetto Doppio betilo.  Si tratta di un cippo di calcare formato da due colonne unite e rastremate verso l'alto in modo da formare un piccolo altare, probabilmente per uso famigliare.
Proseguendo ancora verso nord per circa 40 metri, incontriamo l'ultima capanna. La quale, per la presenza dei resti di un bancone perimetrale e di un presunto altare, induce a ritenere che, almeno in qualche fase del suo utilizzo, abbia svolto funzioni legate al culto.
Con la visita a quest'ultima capanna abbiamo terminato il nostro percorso e ci siamo ormai ritrovati in prossimità del parcheggio.
Prima di concludere ritengo doveroso ricordare il più volte citato Antonio Taramelli (nato a Udine il 14 novembre 1868 e morto a Roma il 7 maggio 1939). Si deve principalmente a lui la scoperta e la valorizzazione di questo sito archeologico. Iniziò la prima campagna di scavi nel 1909 portando alla luce il Tempio a pozzo e, con successivi scavi, le restanti parti del Santuario.

(01 settembre 2008)
(Ultima revisione: 11/03/2021)





Copyright www.atlantides.it 2008÷2024 - All rights reserved
Torna ai contenuti